Sull'Esistenza, 2025
....Perso nella pubblicità del Si e nelle sue chiacchiere, l'Esserci non sente più il proprio se-Stesso, smarrito com'è nel dar retta al Si-stesso. Se l'Esserci deve poter-essere sottratto alla perdizione del non sentire se-Stesso e se lo deve proprio attraverso se stesso, è necessario che esso possa ritrovarsi, che possa trovare quel se-Stesso che esso ha trascurato di sentire dando ascolto al Si. Questo dare ascolto dev'essere interrotto, cioè dev'essere data all'Esserci, dall'Esserci stesso, la possibilità di un sentire che interrompa il dare ascolto. La possibilità di una rottura di questo genere richiede una chiamata immediata. La chiamata mette fine al non sentire che dà ascolto al Si solo se essa, in corrispondenza col suo carattere di chiamata, suscita un sentire le cui caratteristiche siano in tutto opposte a quelle del sentire che definisce la perdizione del Si. Poiché quest'ultimo sentire è stordito dal <<chiasso>> e dalla rumorosa equivocità della chiacchiera ogni giorno «nuova», la chiamata dovrà farsi sentire silenziosamente, inequivocabilmente e senza appiglio per la curiosità. Ciò che dà a comprendere chiamando in questo modo è la coscienza.
Che cos'è ciò a cui l'Esserci è richiamato? Al se-Stesso che gli è proprio.
Non quindi a qualcosa a cui l'Esserci, nell'essere-assieme pubblico, conferisce valore e urgenza di possibilità o di cura, e neppure a ciò che esso ha afferrato, a cui si è dedicato, da cui si è lasciato trascinare. L'Esserci, quale risulta a se stesso e agli altri nell'ambito della mondità, è oltrepassato da questo richiamo.
La chiamata rivolta al se-Stesso ignora del tutto Si. Poiché soltanto lo Stesso del Si-Stesso è richiamato e indotto a sentire, il Si sprofonda. Ma il fatto che la chiamata oltrepassi il Si e lo stato interpretativo pubblico dell'Esserci, non significa affatto che essa non li riguardi. Proprio in questo oltrepassamento essa sospinge nella insignificanza il Si, tutto dedito alle relazioni pubbliche. Il se-Stesso, che la chiamata snida da questo rifugio e da questo nascondiglio, è invece ricondotto a se stesso....
(Martin Heidegger, "Essere e tempo", 1927)
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